Arturo Schwarz:
Un ricordo di un dolce e schivo Tano Festa
Un giorno freddo del 1962 venne a trovarmi, nella mia galleria di via Gesù, un giovane con una grande cartella piena di dipinti a smalto su carta. Era Tano Festa, molto timido e impacciato. Dietro la sua riservatezza si nascondeva un essere colmo di vita e d'entusiasmo. Fui subito conquistato e l'anno seguente, nel maggio del '63, gli allestii una personale con una decina di pannelli di legno di grande formato. L'iconografia era del tutto innovativa, s'ispirava alla morfologia di persiane, armadi, porte, pianoforti, specchi e lapidi. I titoli erano evocativi, tra gli altri: Omaggio a Vermeer (1962), Studio per pianoforte (1963) e dello stesso anno: La sala degli specchi, Le Stanze del Vaticano, La camera rossa. A giusto titolo, Cesare Vivaldi poteva scrivere nella prefazione al catalogo, “il lavoro di Tano Festa è uno dei più definiti e dei più interessanti nel quadro delle ricerche artistiche dell'ultima generazione, in Italia e fuori”.
Tre anni dopo allestii una sua nuova personale (dal 5 al 31 marzo 1966), questa volta i pannelli di legno erano diventati quadri - su legno o tela - a volte con collage. In proposito Maurizio Fagiolo scrisse l'introduzione al catalogo ricordando, tra l'altro, le tappe dell'evoluzione del nostro artista. Dopo la sua prima mostra, nel 1961, alla galleria La Salita di Roma - dove Festa aveva esposto una serie di superfici monocrome di grande rigore formale - l'iconografia di Festa, tra il '62 e il '63, prendeva spunto dai temi che furono oggetto della nostra prima mostra del '63. Fagiolo notava inoltre come le trentaquattro opere di questa nuova antologica erano contraddistinte da un “nuovo rigore costruttivo” e che non erano “evocazioni di tono impressionistico, ma diagrammi statistici della natura”. Personalmente consideravo questi dipinti una manifestazione - tra le più significative - della ricerca estetica di quegli anni. In questi nuovi lavori Festa si soffermava in particolare sui maestri della tradizione italiana e del Rinascimento. Tra questi il favorito era il Michelangelo della Sistina e delle Cappelle Medicee: Particolare della Cappella Sistina (1963), La testa di Adamo (1963), Da Michelangelo particolare delle Tombe Medicee (1965) furono tre tra le opere esposte che denotavano questo suo interesse. Altre rimandavano ad artisti più vicini a noi - Ingres, De Chirico, Carrà e Magritte: La grande odalisca (1964), Les promenades d'Euclide (1963), L'amante dell'ingegnere (1965), Magritte (1963).
Dopo questa rassegna ci siamo persi di vista, gli rimanevano solo 22 anni da vivere - ci ha lasciato cinquantenne - e io chiusi la galleria nove anni dopo per tornare all'insegnamento e dedicarmi ai miei studi. Seppi però, con grande dolore, che drogato dal successo, si era lasciato gradatamente andare. Impenitente donnaiolo, sempre innamorato della bellezza di turno, era stato lasciato anche dalla sua bellissima moglie. Forse, a questa involuzione, non fu estraneo il suicidio, nel 1963, di suo fratello Francesco Lo Savio che aveva solo 28 anni - anch'egli dotatissimo membro dello stesso gruppo di giovani arrabbiati: la prima collettiva che vide Tano Festa entrare in scena fu nel 1959, in compagnia di Franco Angeli e Giuseppe Uncini. Gli ultimi anni della sua vita furono solitari, taciturni e spesi malamente. Drogato ebbe pure seri problemi di salute e se ne andò, lo trovarono morto su una spiaggia. Abbandonato da tutti.
Nel 2006 Teresa Ruggeri e Gianclaudio Pallotta hanno realizzato un commovente documentario, Le strade in Festa, dove ripercorrono la storia di Tano “raccontata dalla gente come in una favola o una leggenda”. Ne consiglio vivamente la visione a chi vorrebbe conoscere meglio questo artista geniale quanto sfortunato.
Pubblicato per la prima volta in Arte e Critica, 66, maggio 2011, p. 92-93